Ho letto il Nome della Rosa, libro che mi è piaciuto moltissimo, sebbene probabilmente non rientrerà nella mia top10. In ogni caso sia il mondo ricreato da Eco, sia gli argomenti trattati, sia lo stile della narrazione, lo rendono un capolavoro che merita il successo ottenuto nel tempo. Va da sé che un libro del genere, oggi, nessuno lo pubblicherebbe, cosa che dovrebbe far riflettere sullo stato misero della nostra editoria. 

Ma, tornando, al libro, mi ha molto affascinato il titolo: il nome della rosa. Per tutto il romanzo ho atteso quelle parole che svelassero l’arcano, che mostrassero il recondito significato dietro tale scelta. E queste parole si sono mostrate solo alla fine, solo all’ultima riga, e neppure in modo così esplicito, tanto che in realtà, terminato il romanzo, servirebbe un ulteriore approfondimento effettuato su altri libri o interviste per capirne di più. E così ho fatto, sebbene ancora non abbia letto le Postille di Eco.
Ed ecco l’ultima riga del libro: “la rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi”. Riga tradotta, in realtà, essendo in latino nell’originale. Null’altro a chiarire il significato del titolo.

Possediamo soltanto i nomi: questo mi fa riflettere prima di tutto sul potere della parola. Le parole sono non solo più forti, ma anche più importanti dell’oggetto a cui esse si riferiscono. Anche quando l’oggetto non esiste, la parola esiste, anzi. 

Di conseguenza il potere materiale e concreto conseguibile nel mondo, lo si consegue prima di tutto con la parola. In maniera non dissimile, noi non possediamo gli eventi, ma il ricordo di questi, le parole di questi. E se cambiamo le parole cambiano anche i ricordi, e cambiano anche gli eventi. 

E allora cosa è vero e cosa è falso? Qual è la verità?

Nel Nome della Rosa tutti i misteri ruotano attorno alla biblioteca, la cassaforte che custodisce i libri, cioè le parole, cioè i nomi. Jorge, Malachia, Abbone vogliono che la biblioteca resti interdetta al pubblico, accessibile soltanto tramite la loro mediazione. Ciò significa che, ponendosi loro tra i libri e il pubblico, loro detengono un enorme potere censorio, interpretativo e direzionale. Ciò che esiste del passato esiste esclusivamente in base a quante informazioni escono dalla biblioteca. 

Il discorso è questo: tale atteggiamento nei confronti dell’informazione è giusto o sbagliato? 

A un primo sguardo sembrerebbe sbagliato, e infatti sono gli antagonisti a voler celare i segreti della biblioteca. Eppure cosa succede non appena Guglielmo svela il mistero e mette a nudo le trame avversarie? Arriva l’Apocalisse. Jorge l’aveva annunciata, l’apocalisse, ed effettivamente questa giunge sotto forma di un incendio che distrugge tutta l’abbazia, compresa la biblioteca, compresi i libri, le parole, le informazioni. Anche la società, non solo l’uomo, torna alla cenere: E dunque non era forse meglio che tutto ciò sopravvivesse, anche se controllato o manipolato (l’informazione, anche libera, sempre resta manipolabile, comunque). 

Quante volte, durante il romanzo, Eco taccia Guglielmo di essere orgoglioso? Non è forse per il suo orgoglio e per la sua testardaggine che la biblioteca perisce? 

E traslando il discorso alla nostra epoca: la quantità di informazione garantita da internet è davvero ciò che sottostà a una fantomatica “libertà”? Le infinite parole, gli infiniti nomi, non equivalgono forse a nessuna parola, nessun nome? E senza parole, senza nomi, la società non è persa?

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